domenica 14 novembre 2010

The Social Network

Titolo: The Social Network
Anno: 2010
Soggetto: Ben Mezrich, "Miliardari per caso"
Con:
Andrew Garfield: Eduardo Saverin
Justin Timberlake: Sean Parker
Brenda Song: Christy Lee
Rashida Jones: Marylin Delpy
Joseph Mazzello: Dustin Moskovitz
Max Minghella: Martin Turner
Rooney Mara: Erica Albright


La riuscita di questo film come insieme di coerenza narrativa, fedeltà alla vicenda e caratterizzazione dei personaggi è stata una bella scommessa. Credo che avvicinarsi ad una vicenda di intrighi aziendali, azioni legali e college sex con lo sguardo della cinepresa non sia un'impresa da poco, specie quando l'insieme risulta coeso e poco noioso, nonostante la cascata infinita di parole e concetti proposti. La vincenda più o meno la conosciamo tutti: un giovane e geniale Nerd ha per le mani l'invenzione del secolo, i suoi amici cazzoni lo spalleggiano ma quando il gioco si fa duro il coinvolgimento emotivo, l'ammirazione per il proprio alter ego e la brama per la sua stima giocano uno scherzo non troppo carino al nostro amico Mark Zuckerberg. Il fondatore di Facebook mette il suo migliore amico, il co-fondatore Eduardo Saverin, nelle mani degli squali, e trascura ogni implicazione morale e legale in ogni suo comportamento. Il personaggio di Mark dipinto dal film è quello di un adolescente paranoico, con la lingua pronta a sferzare chiunque ma con qualche serio limite comportamentale e molto fragile, la dove il suo essere nerd e geniale vuole riscontrare il consenso di chi ritiene suo pari.
La vicenda del SNS (Social Network Site) più famoso in circolazione viene riletta attraverso le due cause subite da Zuckerberg, ma non è un film su avvocati in carriera, cavilli legali e arringhe vincenti; non è nemmeno un film sullo spionaggio industriale, o sulla vendetta; quello che il regista vuol far trapelare è il molto rancore, da un lato per la perdita economica (causa intentata dai gemelli Winklevoss) e dall'altro per la perdita di interesse personale, stima e fiducia (causa intentata da Eduardo Saverin). Ne esce un ragazzo solo, sconfitto da se stesso e dal suo disinteresse per il mondo che lo circonda, capace di capire come "funziona" la gente, ma non comprendendo le motivazioni fondamentali, la dimensione più complessa dell'architettura umana.
Questo si evince chiaramente dall'introduzione del gioco Win-Win di facemash.com (comparare la "ficaggine" delle ragazze, non attribuendo un punteggio ma scegliendo tra due foto casuali), dall'aggiunta dello "stato sentimentale", e dal rapporto con Sean Parker, fondatore di Napster e cattivo consigliere .
Il film è gustoso e leggero, nonostante i moltissimi dialoghi e la complessità degli argomenti, affrontati con decisione e metodo scientifico, bilanciando le emozioni personali all'impatto emotivo "globale", contestualizzando perfettamente la tecnologia e la sua sfrenata corsa.
Una nota molto positiva cinematograficamente: la sequenza della gara di canottaggio dei fratelli Winkelvoss. Le pagaiate, la musica, il fiume, gli stacchi perfetti di una regia minuziosa e sapiente. Ben fatto

lunedì 8 novembre 2010

Battlestar Galactica

Titolo: Battlestar Galactica
Anno: 2004-2009
Serie: 4 (75 episodi)
Durata: 42 minuti
Ideatori: Ronald D. Moore
Con:
Edward James Olmos: William Adama
Jamie Bamber: Lee "Apollo" Adama
James Callis: Gaius Baltar
Tricia Helfer: Numero Sei
Grace Park: Sharon "Boomer" Valerii
Mary McDonnell: Laura Roslin
Katee Sackhoff: Kara Thrace


Da dove iniziare? Ottima domanda. Iniziamo da Cyloni: una razza di robot creati dagli esseri umani e presto evolutisi. La loro evoluzione e la loro presa di coscienza ha dato vita ad una ribellione e ad una guerra tra esseri umani e Cyloni.Dopo una tregua di 40 anni le macchine hanno invaso Caprica e le dodici colonie, dimora dell'umanità, estirpando con un genocidio gli abitanti di Aquarion, Aerilon, Canceron, Caprica, Geminon, Leonis, Libran, Picon, Sagittaron, Scorpia, Tauron e Virgo . I pochissimi supersiti (circa 49.000 a inizio serie) danno vita a una flotta di basi stellari e astronavi perennemente in fuga dai crudeli Cyloni. A guardia della flottasta  la base stellare Galactica, guidata dal Comandante Adamo. La serie narra delle peripezie della razza umana, destinata a un incubo apparentemente senza fine, fatto di ricordi, rimpianti, domande e soprattutto paura e incertezza. La ricerca di una nuova casa, di un nuovo pianeta e la continua fuga dal potente esercito Cylone sono i due elementi chiave per contestualizzare i comportamenti dei personaggi: avviliti, delusi, sconfortati, spesso si lasciano andare, bevono, giocano, si comportano come se la loro vita dovesse finire da un giorno all'altro. Dall'altra parte c'è un fervido attaccamento alla religione  e alla civiltà, come se fossero le uniche possibilità per sentirsi differenti da un branco di animali in fuga. La serie è fatta di speranza e menzogne: la speranza che tutto finisca, la menzogna che esiste un pianeta, chiamato Terra, che accoglierà i sopravvissuti e che il comandante (Adamo) conosca la rotta.Fervido miscuglio di sangue, sesso e misticismi. Elementi tipici dei best sellers di Ken Follet e Dan Brown, che richiamano una forte attenzione. Nel nostro caso però sono sospesi in un'alone di indeterminazione e tristezza dovuta alla situazione estrema e drammatica di quella che è una guerra di sopravvivenza. I continui richiami agli dei, agli oracoli: i legami tra la ricerca della terra e il vecchio testamento, il legame tra il culto dei Cyloni e il nuovo testamento. L'idea di civiltà coloniale legata alla civiltà occidentale nata dalle polis greche e dai culti ellenici.Questo aspetto di intenso rapporto mistico rende possibile ogni colpo di scena, e gli eventi poco plausibili non minano alla credibilità dell'intera vicenda.Questa fiction mi ha appassionato, mi è piaciuta: il suo taglio è rapido e introspettivo; riesce a coinvolgere lo spettatore grazie alla sua tragicità intrinseca e all'affetto innato che ciascuno prova per la razza umana. le parti migliori sono quelle dedicate alla guerra, al Galactica e ai Viper perchè sono quelle che  tengono maggiormente sotto scacco l'attenzione dello spettatore, non grazie all'azione in se, ma grazie alla permanente condizione di incertezza. Ho notato un grosso cambiamento tra la seconda e la terza serie, per quanto riguarda soprattutto i tratti di alcuni personaggi principali come Kara Thrace, lee Adamo ma soprattutto Gaius Baltar.Infine un paio di considerazioni tecniche: le inquadrature sono sempre "in gravità", come mi ha fatto notare un amico, la sensazione cioè è quella di guardare lo spazio da un' astronave. Il taglio è secco, con stile a volte da documentario, per rendere più reali le inquadrature. Altra nota a favore è il rapporto qualità prezzo per quanto riguarda le scene nello spazio: si vede chiaramente che la flotta è fatta di modellini, ma la qualità è abbastanza alta. La consiglio, soprattutto agli amanti di generi distopici, utopici, fantascientifici e d'azione

Pigtails

lunedì 25 ottobre 2010

Figli delle Stelle

Titolo: Figli delle Stelle
Anno: 2010
Con:


Tragicomica e surreale vicenda di un'italia stanca e avvilita. Un' italietta talmente conscia dei propri problemi da venirne schiacciata e da non riuscire a viverne senza: moderno apologo sul disagio sociale, sull'inganno di fondo delle ideologie e sull' italianità grossolana e pressapochista. Una banda del buco come ne "I soliti ignoti" insomma. Storie al margine della società civile si intrecciano dando vita a un pout pourri di emozioni che culminano nell'azione, un'azione forte e risoluta da cui non sarà più possibile tirarsi indietro: un rapimento.
Un disoccupato cronico, un operaio di Porto Marghera e un uomo reduce dal gabbio vogliono rapire il ministro del lavoro, per chiedere un riscatto che avrebbero destinato con un gesto nobile alla ignara vedova di un operaio morto in un incidente nella prima scena del film. Il trio si rivela subito per quello che è: degli emarginati che organizzano un rapimento tanto per fare qualcosa, per ribellarsi al destino e all'ingiustizia: nella calca dell'impianto termale in cui si trova il ministro sbagliano ostaggio e rapiscono un sottosegretario che nulla aveva a che vedere con Gerardi (il ministro). Vorrebbero liberarlo, ma ormai è tardi: di sua iniziativa il padrone di casa del covo (cugino di uno dei tre) ha scritto e inviato ai quotidiani una rivendicazione altisonante e militaresca, che parla di un gruppo armato per il proletariato, organizzazione nazionale e quant'altro. Insomma, dalla padella alla brace! Memorabile la scena in cui due dei tre rapitori gli chiedono spiegazioni, seduti in macchina con i di lui bambini mentre vengono portati a scuola. Per sminuire ancora di più la credibilità di questo "proletario armato" viene mostrato un breve dialogo con un'insegnante dei bambini: una suora, perchè la scuola è Cattolica e l'ha scelta la moglie.
Il film tutto sommato è allegro e scanzonato, riesce a districarsi bene attraverso argomenti attuali e difficili da inquadrare in un contesto tanto leggero. Il precariato, l'emarginazione, i vizi del potere, un'ideologia sempre meno credibile e sempre più lontana dalla realtà. Il senso supremo e Gattopardesco di impotenza, che si concretizza con la frase finale "almeno abbiamo fatto qualcosa". Nonostante alcune inquadrature troppo pesanti (primi piani ravvicinati durante i dialoghi, volti che "impallano, inquadrature a lungo fisse) la regia mi ha soddisfatto abbastanza; devo ammettere che non mi aspettavo un film tanto gustoso e poco scontato. Pur rimanendo una commediola all'italiana, buonista e a tratti mediocre, riesce a esprimersi pienamente e con chiarezza, dando adito a una buona alternanza fra momenti "seriosi " e momenti comici, fatti di una comicità in fin dei conti fine e introspettiva alla coscienza collettiva degli italiani.

giovedì 21 ottobre 2010

L'Apprendista Stregone

Titolo: 
Anno: 2010
Con:
Nicolas Cage: Balthazar Blake
Jay Baruchel: David "Dave" Stutler
Teresa Palmer: Rebecca "Becky" Barnes
Alfred Molina: Maxim Horvath
Toby Kebbell: Drake Stone
Alice Krige: Morgana le Fay
Monica Bellucci: Veronica
Jake Cherry: Dave da bambino
Peyton R. List: Becky da bambina



Leggera commedia che gioca con avventura e misteri esoterici, ingredienti fondamentali per qualsiasi "romanzo di formazione" che si rispetti. Nel nostro caso però, la sensazione è che il mistero sia superato, non svelato ma quasi scontato. Gli elementi di rottura con il passato sono evidenti, curiosi e ambiziosi: nessuno si sarebbe mai sognato di parlare di fisica o di amore post adolescenziale in un film di stampo "fantasy", con draghi e magie.
Dave è un bambino sveglio, che suscita simpatia con il suo modo curioso di rapportarsi alla realtà, come se fosse tutto un bellissimo gioco di cui lui è l'inventore. Una delle scene più belle e importanti del film è quella in cui il piccolo Dave disegna King Kong che scaccia gli aerei sul finestrino dello scuolabus. Passando davanti all' Empire State Building, la sovrapposizione del designo al paesaggio ricorderà a tutti i bambini la famosa scena del film King Kong e, cosa più importante, strapperà a Becky, la bella bambina bionda in ultima fila, un agognato sorriso. Dave si perde e si ritrova per magia (è proprio il caso di dirlo) dentro al negozio di Balthazar Blake: uno dei tre apprendisti di Merlino, il cui compito è di consegnare l'anello del mago defunto al "Sommo Merliniano", un ignoto stregone che riuscirà a sconfiggere definitivamente la malvagia Morgana.
Dave è il prescelto, Balthazar lo capisce e gli consegna l'anello, ma il ragazzo inavvertitamente libera lo spirito del malvagio Maxim Horvath dalla prigione eterna in cui era racchiuso: la Grimhold. I due potenti stregoni combattono, Balthazar tenta di intrappolare nuovamente Horvath ma nel farlo rimane anch' egli vittima del proprio incantesimo. Si libererà solo dopo dieci anni, quando lo spaventato bambino che era uscito scappando dal negozio è un brillante studente di fisica che di magia non vuole proprio saperne.
La storia si lascia narrare, con un controllo scientifico del ritmo, inframezzando a scene di azione e follia magica sequenze da Dawson Creek.
Pur essendo un film Disney, pur essendo un film con Nicolas Cage, pur essendo un film con Monica Bellucci (questo è stato il rospo più amaro da ingoiare), devo ammettere che non mi è dispiaciuto. Nulla di trascendentale  ne di mentalmente complesso, un buon film la cui bontà si riconosce dalla cura per il dettaglio e dall'amore per lo stile: i buoni portano scarpe eleganti, i cattivi vestono come i Tokio Hotel. E scusate se è poco!
Ps. bellissima la scena dell'incantesimo delle scope. Citazione di Fantasia forse un pò autoreferenziale...



lunedì 18 ottobre 2010

The Town

Titolo: The Town
Anno: 2010
Regia: Ben Affleck
Con:

Slancio iniziale pulp e Gangsta, complessi sentimentalismi e grande ritorno dei fucili a canne mozze. Una banda di sgherri con codici d'onore e alta specializzazione tecnica, una contestualizzazione poco credibile quanto apprezzabile per lo sforzo. The Town è soprattutto lo specchio di una "comunità", quella dei ragazzacci di Charlstown, quartiere popolare di Boston. Questo film cerca continuamente di non dimostrarsi quello che è: lo sguardo asettico su una realtà distante, quella dei sobborghi popolari in cui le mura sono codici verbali e comportamentali, i soldi una droga come un'altra e le droghe moneta di scambio. E' un film buonista e intimista che si traveste da film d'azione o un film d'azione con risvolti sdolcinati e parentesi grottesche di sensibilità infantile? Questa forse è la pecca della regia: non aver dato alla pellicola un indirizzo chiaro, lasciando lo spettatore con l'amaro in bocca per la poca credibilità sotto entrambi gli aspetti. Non glorifica il furto ma i rapinatori, anzi, il protagonista. Umanizza il crimine e la polizia forse esaltando più le ridicole usanze e i codici della malavita dis(organizzata) delle leggi dello stato. Si rivela interessante l'ambito di "sovversione sociale" che la dimensione del furto inquadra: il lavoro non è un valore in se, è solo un salario sotto contratto. Perchè fare gli eroi per soldi non tuoi ? Il furto qui non è un lavoro ma quasi un'arte  e questo potrebbe ricondurci a filoni spymovie o a film come Ocean's Eleven ecc. ecc. 
Il  lavoro dei poliziotti è dare la caccia ai criminali, ma è solo un lavoro.
Il film come avrete capito non mi convince e mi lascia perplesso. Non mi ha entusiasmato e non lo riguarderei, nonostante qualche bella trovata si rivela piatto per la maggior parte del tempo e grottesco per il restante. Siete dispensati dal guardarlo



domenica 10 ottobre 2010

Inception

Titolo: Inception
Anno: 2010
Con:
Leonardo DiCaprio: Dominic "Dom" Cobb
Ellen Page: Arianna
Tom Hardy: Eames
Ken Watanabe: Mr. Saito
Dileep Rao: Yusuf
Cillian Murphy: Robert Michael Fischer
Tom Berenger: Peter Browning
Pete Postlethwaite: Maurice Fischer


Thriller psicologico sottile e futurista. In un mondo di superprofessionisti del furto la cosa più preziosa e difficile da rubare sono le idee, le cose più semplici, radicate e potenti dello scibile umano. La base dell'integrità dell'individuo stesso, i suoi segreti più reconditi, la chiave di volta della sua intera psiche.
Grazie a una tecnologia sviluppata dai militari è possibile, nei cosìddetti "sogni condivisi", frugare ogni meandro della psiche della vittima cui è stato indotto un sonno anestetico.
Dominic Cobb, il più noto e abile "estrapolatore", vive dei sogni che crea. Distrutto dalla perdita della moglie (Mal) che domina incontrastata il suo subconscio per ragioni che solo la di lei nemesi, Arianna, riuscirà a portare alla luce del giorno. Fuggitivo e lontano dalla sua famiglia e dalla sua casa è un uomo più solo e disperato di quello che ai suoi colleghi vorrebbe far trasparire.
La vicenda può essere interpretata con differenti chiavi di lettura. La più forte, quella suggerita dal regista, mette in dubbio la realtà stessa in cui lo spettatore viene rimbalzato, la mente di Cobb.
Scatole cinesi, equilibri precari, visioni oniriche, realtà ipotetiche e tanta adrenalina. La pellicola mette a dura prova anche le menti più sottili e i solutori più abili, ponendoli di fronte a eterni paradossi, ombre cinesi e giochi degli specchi. Di chiara ispirazione fantascientifica e filosofica : come accostare Matrix e George Berkeley con leggerezza e un pò, se vogliamo, di ingenuità.
Una regia attenta e una fotografia in grande stile Hollywoodiano, con sequenze iperboliche e luci innaturali. Per certi aspetti molto simile a Shutter Island (le "scatole cinesi", la dimensione del sogno, il potere del subconscio) ma anche diametralmente opposto: l'architetto del sogno possiede le capacità di un dio e il pieno controllo di ogni angolo della realtà. Il dilemma di fondo è sempre presente: quale realtà?
Purtroppo so di non essere stato chiaro come avrei voluto, ma questo film è molto difficile da "raccontare". Avere a che fare con categorie confuse e dai contorni vaghi come quelle della dimensione onirica rende ogni parola un macigno che allontana le immagini e il loro potere dalla nostra mente. Guardatelo






lunedì 20 settembre 2010

La solitudine dei numeri primi

Titolo: La solitudine dei numeri primi
Anno: 2010
Soggetto: Paolo Giordano
Con:
Luca Marinelli: Mattia Balossino
Martina Albano: Alice da bambina
Arianna Nastro: Alice da adolescente
Tommaso Neri: Mattia da bambino
Vittorio Lomartire: Mattia da adolescente
Giorgia Pizzo: Michela da bambina



Uno schiaffo. Questo film è una sferzata di emozioni crude, presentate senza alcun filtro. Come la testa di San Giovanni divelta dal collo e presentata su un piatto d'argento a Salomè. Una tela del Caravaggio fatta di ombre e toni cupi corredata da musiche sempre poste a sottolineare la debolezza della psiche umana, in questo caso, dello spettatore. E' un film bellissimo, denso e lirico, il canto del cigno di un poeta misantropo e triste. Un film angosciante, fatto di cruda fantasia e triste realtà, intrappolato nelle gabbie della limitatezza della psiche umana. La trama è un "blinking" continuo di flash tra presente, passato e futuro, in cui la percezione è quella di una pericolosa e incerta commistione tra cause ed effetti. I sogni e le visioni oniriche di Alice sono il collante emotivo tra tutto questo: la scena nell' hotel in cui gli sciatori recitano i numeri primi, il discorso nuziale di Viola, i sogni e le visioni frequenti legate alla malattia di lei, alla sua solitudine, alle sue paure.
I numeri primi, così affascinanti e così isolati: lontanissimi uno dall'altro, se non fosse per quelle coppie di numeri primi vicini, come il 2 e il 3. I nostri "Numeri Primi", Mattia e Alice, non arriveranno a toccarsi mai, vivendo le loro vite terribili e speciali in una spirale di incomprensioni e irrequietezze, al limite tra la pura follia e la genialità, al limite tra il cinismo, la debolezza umana e la malvagità, al limite tra il senso di colpa e il masochismo. Il film è teso, duro, irrazionale ma freddo nel presentare vite invivibili, così lontane dalle nostre poltrone e dai nostri pop-corn, così inadatte alle nostre menti deboli e ordinarie. Mi ha profondamente angosciato e sconvolto, con la sua intensità e con i scuoi artefatti comunicativi ineccepibili.


domenica 29 agosto 2010

Sherlock Holmes

Titolo: Sherlock Holmes
Anno: 2009
Regista: Guy Ritchie
Soggetto: Arthur Conan Doyle, Lionel Wigram 
Con:
Robert Downey Jr.: Sherlock Holmes
Jude Law: Dottor Watson
Rachel McAdams: Irene Adler
Mark Strong: Lord Blackwood
Kelly Reilly: Mary Morstan
Eddie Marsan: Isp. Lestrade
William Houston: Clark
Hans Matheson: Lord Coward
James Fox: Sir Thomas
Clive Russell: Cap. Tanner
William Hope: John Standish
Martan Kozek:Imskay
Jeanna Blow: Moria Standish


Più di una persona mi ha detto che da un film sul celebre personaggio di Sir Arthur Conan Doyle si aspettava ben altro. Holmes, investigatore della Londra Vittoriana è geniale, elegante, pacato e perspicace. Nell'immaginario collettivo un guru dal metodo di indagine insolito ma dal fare "educato": sempre posato e "polite" nei modi di fare. Fortunatamente questi giudizi, spesso negativi sulla pellicola, non hanno pregiudicato la mia visione e la mia obiettività nel formarmene un'opinione e formularne un giudizio.
Il film è ricercato ma mai snob: alcune inquadrature meritano davvero molto per la capacità del regista di cogliere luci e particolari fini, "d'autore" e renderli evidenti allo sguardo anche dei meno attenti.
Lo Sherlock Holmes di Guy Ritchie è un vizioso (beve, scommette...) con una forte sindrome ossessivo-compulsiva per qualsiasi cosa lo incuriosisca, al punto da tentare su di sè e sul suo cane esperimenti dalla provata pericolosità. Splendido il passaggio in cui afferma "con la teoria musicale ho creato l'ordine dal caos" riferendosi a uno studio su piccoli insetti condotto per mezzo del suono del violino e dell'osservazione delle loro disposizioni in volo: "ci ho messo sei ore a intrappolarli a uno ad uno", confessa candidamente. Un bambino o un idiota? Questo è il senso del film: la genialità di Holmes e del suo antagonista sta proprio nel sovvertire le regole e la calma apparentemente "razionale". Holmes è geniale perchè ragiona come se ogni esperienza fosse nuova, focalizza ogni dettaglio in funzione del quadro generale. Si contrappone, con la sua stravaganza e la sua apparente sconclusionatezza, al personaggio di Watson: dottore pacato, intelligente ma molto più ordinario. In più di un tratto la coppia Holmes- Watson mi ricorda la coppia House-Wilson (Dottor House M.D.), in cui Holmes è chiaramente paragonabile a House: entrambi geniali e con chiari disturbi psicologici anche gravi.
La trama fa riferimento a un' avventura del detective (non credo sia tratta da alcuno dei romanzi di Doyle) in cui si trova a fronteggiare un massone ricco e ossessionato dall'occulto, desideroso di mettere il giogo alle istituzioni democratiche dell' Impero Britannico (il più potente al mondo in quel momento). Ma c'è molto di più: Lord Blackwood, oltre ad essere un massone egocentrico e fissato con occultismo e riti satanici è anche dannatamente furbo: cerca in ogni modo di creare panico intorno a se, creando con sottili trucchi delle vere e proprie trappole per la mente dell'ispettore, che ne verrà brillantemente a capo. Risse, spargimenti di sangue, amori, soldi e gioielli, ma anche tanto mistero e furbizia: razionalità e colpi di scena insieme a un'ottima dose di occulto tengono lo spettatore incatenato in una realtà cinematografica dinamica ma profonda. Il film mi è piaciuto per la sua freschezza e per la combinazione di azione e ragione: miscela esplosiva e a tratti anche comica. Ve lo consiglio caldamente







giovedì 19 agosto 2010

Splice

Titolo: Splice
Anno: 2009 (rilasciato in italia a partire dal 13/0/10)
Con:
Adrien Brody: Clive Nicoli
Sarah Polley: Elsa Kast
David Hewlett: William Barlow
Abigail Chu: Dren da bambina
Brandon McGibbon: Gavin Nicoli
Simona Măicănescu: Joan Chorot

Da dove iniziare? I lati positivi, anche se ne avrò per poco: la fotografia. ho notato una particolare cura per l'ambientazione in netto contrasto tra la vita professionale dei protagonisti (computer di ultima generazione, tecnologia di altissimo livello ecc. ecc.) e la loro vita personale. Il tutto si riassume nella scena in cui Elsa ritrova la propria camera di quando era bambina "come l'aveva lasciata". Belle le luci: man mano che la tensione aumenta, si passa dalla luce artificiale e asettica dei neon dei laboratori ad un' ambientazione in esterno notturna e crepuscolare. Alcuni tagli da regista Francese depresso e una recitazione di alto livello: Brody riesce ad essere quasi sempre credibile.
Tutto quello che ho scritto non giustifica assolutamente la pessima trama che sembra uscita da un b-movie di scarto. Ed. Wood probabilmente avrebbe fatto di meglio. Non c'è qualche pecca che rende la narrazione poco sinuosa o che ne limita la comprensione: non c'è omogeneità e strutturalità nel costrutto narrativo del regista.  I due scienziati protagonisti (Clive ed Elsa) lavorano ad un progetto di splicing (letteralmente unire, mescolare) del DNA di svariate creature, tra cui Elsa stessa. Un fruitore di film di fantascienza e fantagenetica si aspetterebbe la nascita di una creatura molto potente che minaccia la specie umana: come in X-Files, Leviathan, La cosa ecc. ecc. Invece il momento che dovrebbe segnare una svolta nella narrazione si fa attendere: arriverà solo verso la fine del film, quando Clive e l'ormai adulta Dren (la chimera cresce a ritmo forsennato, come Solomon Grundy) fornicheranno e gli "scienziati" piangendo si renderanno conto di aver stravolto le regole del gioco. Il film termina, dopo questa perla, con un'altra sequenza di atti osceniumanamente e cinematograficamente parlando, e non riesce proprio a evitare il clichè dell'essere semiumano straordinariamente potente e vendicativo che feconda e uccide tutto quello che trova.
Non buttate il vostro tempo con questa pellicola, priva di gusto e di slancio. Un film che peggiora con il passare del tempo e che proprio non vuol saperne di rimanere un film mediocre: con l'ultima mezzora di violenze, incesti e psicologia da quattro soldi si qualifica il per ora peggior film di questo blog.







lunedì 16 agosto 2010

The Road

Titolo: The Road
Anno: 2009
Regista: John Hillcoat
Soggetto: The Road, Cormac MaCarthy
Con:
Viggo Mortensen
Kodi Smit-McPhee
Michael K. Williams
Robert Duvall
Guy Pearce
Charlize Theron

Un film tristissimo, d'impatto e struggente. Nelle scene è insita una certa dolcezza, legata all'incertezza per il futuro della razza e all'amore incondizionato che ogni essere umano, volente o nolente, prova per il proprio "ospite" (non siamo forse noi dei parassiti per la terra?). Il film catapulta i propri personaggi in un mondo devastato da una imprecisata catastrofe. La maggior parte degli esseri umani è deceduta da anni, il cibo scarseggia e la natura è inclemente; le possibilità di sopravvivere sono effimere e ogni segno di civiltà è cancellato. In una terra in cui non si può ambire ad altro se non a morire senza essere preda di altri uomini (per lo più dediti al cannibalismo), deviati moralmente e che dell'uomo non hanno nulla se non l'aspetto esteriore.
Padre e figlio (Viggo Mortensen e Kodi Smit-McPhee) viaggiano verso sud nella speranza di incontrare una natura più clemente, nella speranza di trovare del cibo. Lottando ogni giorno per non morire di fame e per non incontrare una fine dolorosa. Quello che rende questo film interessante è il clima della narrazione; gli eventi, le azioni faticano a spiccare le une sulle altre fino alle ultime scene; quella che potrebbe sembrare, dalla mia descrizione, una narrazione degli eventi piatta è invece un costante ed estenuante viaggio emotivo per lo spettatore. La tensione nel film è sempre tenuta al massimo livello accettabile, la paranoia del padre in contrasto con la buona fede e l'innocenza del bambino contagia lo spettatore. Confesso che questo film, splendido, mi ha gettato nello sconforto. E' una bellissima pellicola. In Italia la sua distribuzione è stata addirittura bloccata e posticipata poichè il film era ritenuto "troppo deprimente".
Una nota negativa molto influente è la bruttezza della voce del bambino nel doppiaggio italiano.

lunedì 2 agosto 2010

Un tranquillo week-end di paura

Titolo: Un tranquillo week-end di paura
Anno: 1972
Regista: John boorman
Soggetto: James Dickey
Sceneggiatura: James Dickey
Con:
Jon Voight: Ed Gentry
Burt Reynolds: Lewis Medlock
Ned Beatty: Bobby Trippe
Ronny Cox: Drew Ballinger
Seamon Glass: primo Griner
Randall Deal: secondo Griner


Quattro amici di Atlanta decidono di fare un giro sui monti Appalachi e di godersi la natura selvaggia del fiume  Cahulawassee discendendolo in canoa. Tutta la valle verrà presto sommersa a causa della costruzione di una enorme diga, è l'ultima occasione, si dicono i quattro, per godere di quel paradiso terrestre.
Lontani da tutto e da tutti vivranno qualche giorno di intensa avventura, dribblando le rapide, pescando con l'arco e suonando la chitarra davanti al falò. 
Qualcosa però va storto: Ed e Bobby si imbattono, approdati a riva per una breve caccia, in due loschi individui. Due redneck armati e psicotici, cui la natura non ha certo concesso favori. In questo frangente viene mostrata con sottile cinismo la prima scena di violenza carnale, per di più omosessuale, della storia del cinema. Queste sequenze di violenza fisica per Bobby e forte violenza psicologica per lo spettatore sono rimaste nell'immaginario collettivo e hanno colpito molto i mass-media dell'epoca.
Tragico, drammatico, psicologicamente di notevole impatto, questo film sarà destinato ad entrare nella hall of fame dei così detti film "cult". Imperdibile. Ricco di tensione e silenzio, ricco di saggezza e violenza rivela un cinema d'avventura lontano dalla semplicità e dal buonismo hollywoodiano. Una fotografia splendida, con immagini e suoni intensi fa da sfondo a una vicenda profonda e avvincente, mai scontata e terribile. La recitazione è cruciale: un ulteriore punto di forza di questo film coinvolgente. Burt Reynolds, che con il suo smanicato di pelle assomiglia molto a Jon Irenicus, nei panni dell'avventuriero insofferente e insoddisfatto dell'andamento delle cose per la civiltà umana è credibile e di spessore. Jon Voight è un uomo qualunque, buono e duttile, ma si rivela responsabile e coraggioso. Acquista credibilità dando spessore e umanità a un personaggio a cavallo tra l'uomo e il superuomo, a cavallo tra la civiltà e la natura selvaggia.
Bellissimo film, gustatevelo.






giovedì 29 luglio 2010

Il pianeta verde

Titolo: Il pianeta verde
Anno: 1996
Regia: Coline Serrau
Soggetto: Coline Serrau
Sceneggiatura: Coline Serrau
Con:
Coline Serreau: Mila
Vincent Lindon: Max
James Thiérrée: Mesaje
Samuel Tasinaje: Mesaul
Marion Cotillard: Macha
Claire Keim: Sonia
Philippine Leroy-Beaulieu:


So bene che si tratta di un film francese, ma non è in bianco e nero! Accostatevi a questa pellicola graziosa e sognante senza i pregiudizi ricorrenti dei film d'oltralpe (noiosi, melensi, retorici e ancora noiosi), come ho fatto io, e non ne rimarrete delusi.
Prima le critiche: eccessivamente buonista e a tratti notevolmente superficiale nel trattare argomenti delicati  e per nulla scontati. Tecnicamente mi lasciano un po perplessi il doppiaggio e la recitazione, specie della protagonista.
Ah, altra critica, sono tutti vegani (e a me la carne piace parecchio!).
Il film racconta di un pianeta su cui vivono, in pace e serenità, esseri umani robusti, longevi e dagli straordinari poteri psichici. Per questi esseri è normale vivere senza tecnologia utilizzando il proprio cervello come unico " aiuto ultracorporeo". Nella vita ultracentenaria di questi popoli è normale scambiare messaggi telepatici con altri popoli nella galassia e viaggiare nell'universo stabilendosi per qualche mese o qualche anno sugli altri pianeti.
E la terra? Chi va sulla terra? Da duecento anni la stessa scena: nessuno vuole andare sulla terra! Iniziano allora le peripezie della nostra unica volontaria, desiderosa di conoscere le proprie origini: pare fosse metà terrestre!
Si evidenziano così tutti i mali creati dal capitalismo e dal logorio di una vita disequilibrata come quella sulla terra. La gente muore di fame, ci sono guerre e carestie, si paga per avere da mangiare, la gente è instupidita e costretta a compiere lavori inutili (vedi filmato), insomma, un bruttissimo pianeta!
Con qualche scena decisamente comica e ottime riflessioni questo film ci fa riflettere sulla terribile condizione in cui versa Gaia, purtroppo però, senza fare nulla di concreto per cambiare le cose. Come si può, del resto? Per ora non ci sono risposte. Il film è piacevole, comico e grottesco. A volte, come ho detto, un po infantile e superficiale, ma godibilissimo e con notevoli spunti di comicità (vedi scena dello stadio o dell'orchestra).










martedì 27 luglio 2010

The Twilight Saga: Eclipse

Titolo:  (The Twilight saga) Eclipse
Anno: 2010
Con

Ho visto al cinema questo film, un po per curiosità un po per scrivere di un film visto in massa e attirare così milioni di spasmodici click su questo spazio. Ma soprattutto curiosità.
Che dire? Leggermente al di sopra delle mie aspettative, e questo non è male; devo però ammettere che le stesse erano pessime. Un film da preadolescenti che si sentono già grandi, apatico nei tratti che dovrebbero essere quelli tipici della favola/romanzo di formazione, ingenuo nel trattare temi cari agli adolescenti come il sesso o l'emofilia. Ah no, scusate, l'emofilia non c'entra!
Il film riduce comunque una trama carina ad un banale canovaccio su cui intavolare rapporti complessi tra una ragazzina un po troia , un vampiro un po gay e un lupo mannaro un po permaloso. Piatti la recitazione e i dialoghi; sentimenti che vorrebbero essere romantici ( nel senso ottocentesco del termine), estremi e assoluti risultano grotteschi e poco credibili. La rivalità razziale post-mitologica tra vampiri e mannari è una banale guerriglia tra nerd e boyscout. I vampiri esotici e italiani sono solo degli spocchiosi cacasotto.
Pregi? Qualcuno si, e non da poco. La fotografia è splendida: le valli e le montagne dello stato di Washington (al confine con il canada), se non erro, fanno da ambientazione a molte scene del film. Boschi, colline e tormente di neve. Una battaglia che avrebbe potuto regalare qualche brivido in più se prolungata di qualche minuto e magari coronata da una perdita tra le fila "dei buoni". La colonna sonora è un altro punto a favore di questa pellicola anche se mi vergognerei di aver lavorato per una simile pellicola. Bellamy, tu che ne dici?




martedì 20 luglio 2010

24

Titolo: 24
Anno: 2001/2010
Stagioni: 8
Puntate: 192 (45 min ca)
Con:
Elisha Cuthbert: Kim Bauer (s. 1-3, 5, 7-8)
Carlos Bernard: Tony Almeida (s. 1-5, 7)
Xander Berkeley: George Mason (s. 1-2)
Glenn Morshower: Aaron Pierce (s. 1-7)
Dennis Haysbert: David Palmer (s. 1-5)
Eric Balfour: Milo Pressman (s. 1, 6)
Tamara Tunie: Alberta Green (s. 1)
Dennis Hopper: Victor Drazen (s. 1)

"The following takes place between midnight and 1.00 A.M., on the day of California Presidential Primary.
Events occur in real time."

Uccidere il senatore Palmer. Salvare il senatore Palmer. Sapiente unione di elementi di vita pubblica e privata dei nostri protagonisti, primo fra tutti l'agente dell' antiterrorismo Jack Bauer, la cui vita privata viene sconvolta  dal rapimento della figlia mentre si deve occupare di un caso delicatissimo e importante a livello nazionale, anzi, mondiale. Il senatore Palmer è il primo afroamericano ad avere una concreta possibilità di diventare presidente degli USA, ma la minaccia di un attentato nel giorno delle primarie presidenziali in california grava sulla sua testa. Nella sua vita privata c'è un cono d'ombra dentro il quale la sua famiglia lo ha "protetto" o tenuto all'oscuro troppo a lungo, e ora tutto questo rischia di rivoltarsi contro i suoi cari e contro la sua carriera. Aerei che esplodono, colpi di scena, false certezze, spionaggio e fughe rocambolesche nonchè la costante impressione di non essere mai fuori pericolo sono le principali caratteristiche di questa fiction ben strutturata e corposa. Avevo letto da qualche parte che fosse destinata a grandi successi eppure non lo nascondo, mi ha deluso. Non ho visto più di metà della prima serie eppure per quanto possa essere avvincente e coinvolgente non riesce a trascinarmi come altre serie. La trovata della narrazione in tempo reale è un'arma a doppio taglio: tanto geniale quanto deleterea. La serie zoppica per questo accavallarsi di eventi poco chiaro e macchinoso, che aiuta la suspence ma svilisce ogni trama. Prodigi tecnici e grande modernismo nella regia (un primo vero uso di "inquadrature interattive", accavallarsi di scene, tagli netti e movimenti di macchina serrati...) lo rendono un ottimo soggetto di studio per gli addetti ai lavori ma, ripeto, mi lascia con l'amaro in bocca.







mercoledì 7 luglio 2010

Pomi d'ottone e manici di scopa

Titolo: Pomi d'ottone e manici di scopa (Bedknobs and Broomsticks)
Anno: 1971
Con:


"England Time"

Per essere un film Disney, ma soprattutto un musical, mi è piaciuto. Di solito non amo questo genere di film (non ho mai finito di vedere "Il mago di Oz"), anzi non lo sopporto del tutto. Ma in questo caso qualche piccola eccezione mi fa soprassedere al vizio disneyano di cantare melodie anni trenta con parole melense e banalotte.
La trama è, come tutti i film di quella nota casa di produzione, moraleggiante e fastidiosamente buonista. Mi chiederete allora: cosa ti è piaciuto? I personaggi risultano abbastanza gradevoli, ma soprattutto la commistione tra girato ed animazione. Le sequenze lisergiche da 2001 Odissea nello spazio, le cose che si muovono (semoventi) e gli animali. La sequenza della battaglia finale è un piccolo capolavoro d'arte cinematografica. Pur considerandolo, come detto, un film per bambini moraleggiante e buonista, tratti di nonsense e guizzi di spregiudicata fantasia ne fanno una pellicola originale e di culto.



venerdì 25 giugno 2010

Videocracy- Basta Apparire

Titolo: Videocracy-Basta apparire
Anno:  2009
Regista: Erik Gandini
Con:
Silvio Berlusconi: se stesso
Lele Mora: se stesso
Fabrizio Corona: se stesso
Simona Ventura: se stessa
Flavio Briatore: se stesso
Riccardo Canevali: se stesso
Erik Gandini: voce narrante

Questo film documenta con sguardo cinico e disilluso il mondo dello show-business, dando uno spaccato tremendo e triste della realtà italiana di "periferia mediatica". Quella periferia culturale in cui vive chi "vive di televisione", basa su di essa i propri principi, si ispira ad essa per i propri modelli comportamentali, trae da essa l'unica fonte di sapere e di cultura. Il consumatore anche in questo caso è chiaramente vittima di un monopolio, in questo documentario ci si occupa soprattutto del monopolio culturale cui deve far fronte il telenauta italiota.
Basta Apparire: questo è il senso ultimo del film. Ce lo dicono dal basso, personaggi come Riccardo, che vorrebbero ma.... e dall'alto Lele Mora. Lele Mora, un uomo con un potere e un'influenza immensi. Pensate che Socrate è stato condannato a morte perchè "Colpevole di Corrompere i giovani". Cosa dovremmo fare di Mora? Accostamento decisamente troppo forte, e me ne scuso. Troppo spesso nel film si ha a che fare con persone a metà tra la totale consapevolezza "mediatica" che hanno di se e dei completi idioti.
Altra parte decisamente importante della pellicola è quella dedicata a Corona. Una persona che personalmente mi disturba, ma a tratti ammiro. 
Videocracy è un bellissimo documentario, purtroppo ancora troppo attuale. Le critiche verso "il Presidente" sono tra le più pesanti, perchè minano proprio il mondo e il sistema di valori in cui la società odierna è costretta a vivere. Non si fa politica in senso stretto in quel film, questa è la sua enorme forza.
A tratti devo confessare che mi ha angosciato e disgustato






lunedì 21 giugno 2010

Il mistero di Sleepy Hollow

Titolo: Il mistero di Sleepy Hollow
Anno: 19999
Regia: Tim Burton
Soggetto Originale: Washington Irving
Con:
Johnny Depp: Ichabod Crane
Christina Ricci: Katrina Van Tassel
Miranda Richardson: Lady Mary Van Tassel
Michael Gambon: Baltus Van Tassel
Casper Van Dien: Brom Van Brunt
Jeffrey Jones: Reverendo Steenwyck
Christopher Lee: Borgomastro
Christopher Walken: Cavaliere senza testa
Ian McDiarmid: Dott. Thomas Lancaster
Michael Gough: Notaio Hardenbruck
Richard Griffiths: Magistrato Philipse
Marc Pickering: Giovane Masbath
Lisa Marie: Lady Crane
Claire Skinner: Beth Killian
Mark Spalding: Jonathan Masbath
Martin Landau: Peter Van Garrett


Un giovane e brillante detective Newyorkese, Ichabod Crane, è mal visto dai suoi colleghi e dalle autorità per i metodi con cui si approccia ai casi  che gli vengono sottoposti. Scienziato dilettante e profondamente scettico usa la propria razionalità come filtro ad una giustizia fatta di processi sommari e deposizioni ancora troppo simili a confessioni. Dopo l'ennesimo battibecco con i propri superiori viene inviato ad indagare su un misterioso e cruento caso di triplice omicidio con menomazione e occultamento in uno sperduto vilaggio: Sleepy Hollow. Le sue convinzioni ed i suoi metodi razionali non arriveranno a coprire l'infittirsi di misteri in un  ambiente perfetto per inquirenti alla  Dylan Dog: colmo di nebbie, paesaggi lugubri e traboccante di superstizione. Una storia macabra e terribile, un potere inesplicabile e una misteriosa apparizione metteranno a dura prova l'essere del nostro protagonista, il cui personaggio è creato ad arte da un superlativo Tim Burton. In questo film Johnny Depp è perfetto: bianco cadaverico, schizoide e pavido fino all'osso. Con quel contegno e quella superiorità che si poteva dare un benestante metropolitano nel 1799.
La storia è grottesca, a tratti poco credibile, ma lo svolgimento della trama fa si che il perno su cui è incentrata la vicenda non sia che un esacmotage finale per mostrare, come un Deus Ex Machina (anzi, come un colpo di scena alla Hitchcock) il vero "colpevole". La fotografia è azzeccata, paurosa, a tratti mistica. Riflette in maniera precisa lo stato d'animo degli abitanti e del visitatore. Un film decisamente bello e avvincente, in cui una regista da 10+ coniuga i tasselli di un puzzle postmoderno. Razionalità e mito, intrighi e vendetta, amore e inferi si coniugano, supportati da uno spargimento di sangue che definirei "radical chic", in una pellicola di notevole spessore.